Nuove solitudini, nuove azioni. Voci e strumenti per ricostruire legami


“Di solitudine si può morire. E nessuno è immune.”
Con queste parole si è aperta, lo scorso 16 maggio in Piazza Duomo a Trento, la tavola rotonda “Nuove solitudini e nuove azioni. Il ruolo del volontariato sociale”, promossa dalla Fondazione Trentina per il Volontariato Sociale all’interno della “Piazza del Volontariato”.

Ascoltare, confrontarsi, riconoscere ciò che spesso resta invisibile: è stata questa la forza di questo incontro dedicato alle nuove solitudini. Una condizione sempre più diffusa, che non guarda l’età, il contesto o lo status sociale, ma accomuna esperienze diverse intorno a un bisogno fondamentale: quello di relazione. Per la Fondazione, contrastare la solitudine significa proprio questo — rimettere al centro il valore dei legami umani.

La solitudine oggi: una realtà complessa e sfaccettata

Durante la tavola rotonda, moderata da Aleksandra Bobic, sono intervenuti professionisti e testimoni provenienti dal mondo della salute mentale, dell’associazionismo, dell’impresa sociale e del volontariato.

Giulia Tomasi, psicoterapeuta dell’Associazione AMA, ha descritto un fenomeno che cresce silenziosamente: il ritiro sociale giovanile. “Siamo una società connessa, ma poco in relazione. I giovani si isolano per scelta apparente, ma spesso è un sintomo di sofferenza emotiva profonda.” AMA riceve ogni anno decine di richieste d’aiuto da famiglie in difficoltà: dietro ogni caso, una storia che rischia di passare inosservata.

Anche Roldano Cattoni, presidente dell’Associazione Amici dell’Hospice Trentino, ha raccontato l’esperienza di chi vive la fase terminale della vita. “Ci sono persone che si ritirano dopo una vita di lavoro, e famiglie che fuggono dal dolore. I nostri volontari accompagnano entrambe queste solitudini, offrendo presenza umana laddove spesso c’è solo assenza.

Il dott. Rodolfo D’Agostini, psichiatra, ha descritto con parole forti il disagio che incontra quotidianamente: “Nei reparti psichiatrici, la solitudine fa rumore. Ragazzi che si tagliano, che distruggono casa. Hanno paura di essere esclusi. Vivono una doppia identità — reale e virtuale — che li rende sempre più fragili.

Gianluca Salvatori, segretario generale di Euricse, ha proposto una lettura culturale ed economica del fenomeno. “Viviamo in un tempo dominato dalla felicità privata. Ma la solitudine nasce anche dalla mancanza di partecipazione. Dobbiamo riscoprire il valore della felicità pubblica: quella che nasce dall’impegno collettivo, dalla comunità, dalla cooperazione.

Le risposte della Fondazione: premi, bandi, relazioni

Come Fondazione, abbiamo scelto di attivarci in modo concreto, dedicando il 2025 al contrasto alla solitudine. L’obiettivo è promuovere progettualità capaci di generare prossimità, inclusione e dialogo, rafforzando il tessuto sociale del nostro territorio.

In questa direzione si inseriscono due strumenti presentati durante l’incontro:
il Premio di Solidarietà, giunto alla 16ª edizione, che quest’anno premierà i progetti più significativi nel contrasto alla solitudine, con particolare attenzione alla parità di genere, al protagonismo giovanile e all’inclusione sociale; e il bando “Intrecci Possibili – Costruire vicinanza”, aperto fino al 10 ottobre, pensato per sostenere iniziative di rete capaci di creare nuove relazioni, servizi di prossimità e presìdi comunitari accessibili e inclusivi.

Non si tratta solo di bandi, ma di vere e proprie opportunità per generare cambiamento: costruire comunità più umane, più accoglienti, più attente ai bisogni invisibili di chi si sente solo.

Riconoscere i segnali invisibili, sostenere chi si attiva

La seconda parte della tavola rotonda si è concentrata su ciò che spesso non si vede: i sintomi nascosti della solitudine e le barriere che impediscono alle persone di chiedere aiuto.

Tomasi ha parlato dell’importanza dell’educazione relazionale: “Se un bambino non impara fin da piccolo a coltivare relazioni, da grande farà più fatica. È una competenza che va allenata, valorizzata.

Cattoni ha ricordato che anche gli anziani, spesso soli a casa, affrontano difficoltà pratiche — burocrazia, spesa, visite mediche — che diventano anch’esse ostacoli alla partecipazione. Per questo ha citato l’esperienza di Vidas a Milano come modello interessante anche per il Trentino.

D’Agostini ha lanciato un messaggio forte: “Non medicalizziamo ogni disagio. Servono ascolto, presenza, occasioni vere per riattivare la fiducia.

Salvatori ha invitato a “non abbassare la saracinesca”, sottolineando come l’individualismo diffuso rischi di spegnere i legami più autentici.

Il volontariato come antidoto alla solitudine

Un punto centrale del confronto è stato il ruolo del volontariato: non solo risposta al bisogno, ma prevenzione attiva del disagio. Le esperienze raccontate hanno confermato che fare volontariato fa bene a chi lo riceve e a chi lo fa. AMA oggi conta 160 volontari, molti dei quali ex utenti: “Chi è stato aiutato, spesso decide di restituire.

Anche Cattoni ha insistito su questo aspetto: “Il volontario che accompagna una persona malata spesso evita, a sua volta, di cadere nella solitudine. Ma anche il volontario va sostenuto: motivazioni e competenze devono essere coltivate.

In questo senso, il volontariato è un laboratorio di speranza: uno spazio di comunità dove ciascuno può sentirsi utile, accolto, riconosciuto.

Una chiamata all’azione

Nelle battute finali, ai relatori è stato chiesto di lasciare un gesto possibile, un’idea concreta da cui partire. Ne è emerso un invito collettivo a riscoprire la forza delle relazioni nella vita quotidiana.

Cattoni ha suggerito qualcosa di semplice ma potente: andare a trovare un vicino solo. Salvatori ha esortato a riavvicinarsi alla vita pubblica, intesa come spazio di partecipazione e responsabilità condivisa. D’Agostini ha sottolineato l’urgenza di creare occasioni per i giovani, senza stigma e senza etichette. Turrina ha ricordato che partecipare fa bene: il volontariato è sì dono agli altri, ma anche cura per sé stessi.

Dal pubblico è arrivato un intervento altrettanto significativo: Onorio Clauser, già vicepresidente della Fondazione, ha richiamato il pensiero di Albert O. Hirschman, secondo cui le vere trasformazioni avvengono nei momenti di crisi. E oggi, in una crisi che si traduce spesso in solitudine e frammentazione, possiamo scegliere se chiuderci o cogliere l’occasione per generare nuovi legami. Clauser ha citato anche una recente ricerca che evidenzia come molti giovani trovino speranza nella relazione, nella spiritualità e nel sentirsi parte di una rete. In questo scenario, il volontariato ha un ruolo fondamentale: non solo una risposta al bisogno, ma uno spazio per sentirsi accolti, utili, riconosciuti. Un vero laboratorio di speranza.

Insieme, per ricostruire connessioni

La solitudine si combatte insieme. E come Fondazione crediamo che il modo più potente per farlo sia sostenere chi costruisce relazioni, chi crea spazi di prossimità, chi promuove il dialogo tra generazioni, chi ascolta i bisogni e li trasforma in risorsa.

Il 2025 sarà un anno di ascolto, progettazione e azione condivisa. Non solo per rispondere a un problema, ma per costruire una visione di futuro dove nessuno si senta lasciato indietro.

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